Lo ski-pass per la pista nera del Quirinale è in vendita allo chalet di piazza Barberini, quello accanto al pizzicagnolo che fa l'abbacchio di cervo. Invece domani verrà chiusa la Basilica del Santo Petronio per allarme valanghe: cancellata la prova di slalom fra i portici bolognesi, dove per l'occasione le osterie di Guccini serviranno genzianella e bombardino.
Cronache marziane dalla montagna immaginaria, sequel tutto italiano della montagna incantata raccontata da Thomas Mann. Istantanee paradossali dal Paese dei commi e dei regolamenti incrociati, dove si scopre che montagna è ovunque, anche in spiaggia e in pianura, anche nella Roma dei Papi e nella grassa Bologna, che per l'occasione farà un po' di escursionismo per rimettersi in forma.
Stiamo parlando del pasticciaccio brutto dei Comuni montani, una questione talmente intricata da far sembrare bazzecole certi dilemmi teologici alla base degli scismi. Nel tentativo di semplificare, a margine della nuova "legge sulla montagna", il ministro per gli Affari regionali e per le Autonomie Roberto Calderoli ha annunciato l'imminente riforma dei complessissimi e vagamente aleatori requisiti per cui i Comuni possono accedere ai 200 milioni destinati alle zone montane. L'obiettivo è creare una lista nazionale con criteri univoci per stabilire quali territori di "autentica montagna" possano accedere al Fosmit, il Fondo Sviluppo Montagne Italiane. Si deciderà in base ad altimetria e pendenza: almeno il 25% del territorio deve trovarsi oltre i 600 metri slm o il 30% deve avere pendenza oltre il 20%, oppure il Comune deve avere un'altitudine media oltre i 500 metri. La sistematizzazione ridurrebbe i Comuni beneficiari di fondi dai 4.201 attuali a 2.844, con l'obiettivo di cancellare quei territori che di montano hanno pochino, come Roma e Bologna appunto, che hanno un'altitudine media di 67 e 82 metri.
Ora, l'operazione sembrerebbe di buon senso: non si è mai sentito nessuno prenotare la settimana bianca per sciare nel comprensorio dei Sette colli. Eppure le reazioni sono state furiose. Ha protestato l'Uncem, l'Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, che non è stata coinvolta nella commissione al lavoro per ridisegnare le regole; hanno protestato i sindaci che nel nuovo "algoritmo" vengono fatti fuori; hanno protestato praticamente tutte le Regioni d'Italia; hanno protestato perfino le opposizioni, che dopo trent'anni di ridicolizzazione dell'autonomismo ora lamentano una scelta centralista e rimpiangono le regole decise su base locale. Un monte di polemiche insomma, che ha spinto Calderoli a congelare (in montagna fa freddo...) la riforma e a convocare un tavolo di dialogo. Immaginiamo siano già partiti gli sherpa per la trattativa.
Ora, siamo convinti che le Comunità montane - quelle vere, non quelle al ragù o alla carbonara - siano davvero una ricchezza di questo Paese e meritino rispetto e attenzione. Ma attenzione significa anche gestione rigorosa delle (poche) risorse e dovere morale di evitare gli sprechi. Far arrivare nel Grande Raccordo Anulare o all'ombra della Torre degli Asinelli anche una sola briciola della tortina di 200 milioni per i Comuni montani è semplicemente uno spreco. Starà al ministero trovare una formula per non escludere i territori - soprattutto appenninici - che per questo spostamento della coperta rimangono con i piedi al freddo e hanno ragione di lamentarsi. Ma il dialogo non diventi tentativo di paralizzare tutto e salvare le storture. Altrimenti, ci mettiamo in coda per un obolo anche noi: la redazione milanese del Giornale è in via dell'Aprica e abbiamo una discreta scorta di grappa, ci sentiamo già alpini...