AGI - Nell’inchiesta sul delitto di Garlasco, secondo le ricostruzioni degli inquirenti ci sarebbe una nuova impronta: quella di una scarpa insanguinata in cima alle scale dove fu ritrovato il corpo di Chiara Poggi e sarebbe compatibile con la traccia 33 lasciata sul muro dall’assassino. A riferirlo è il Tg1 nell’edizione delle 20.
La traccia 33
In sostanza, la persona che aggredì Chiara, a giudicare dalle impronte della scarpa e della mano, si sarebbe soffermata a guardare sulle scale, appoggiando la mano al muro, lasciando quindi la famosa traccia 33. Si tratta di una traccia che la Procura di Pavia attribuisce ad Andrea Sempio.
Già in passato la Procura aveva ipotizzato che l'assassino non fosse mai sceso dalle scale verso la cantina dove giaceva il corpo di Chiara Poggi ma che, dall’alto dei gradini, si fosse sporto appoggiandosi al muro. Questo spiegherebbe perché sui gradini non sono mai state trovate impronte insanguinate dell’assassino di quel 13 agosto 2007.
Sempio, "questione del Dna finalmente risolta"
In un'intervista esclusiva trasmessa venerdì scorso da "Quarto Grado" su Rete 4, Andrea Sempio ha parlato dell'inchiesta. "Io sono molto contento che sia arrivata questa giornata. Questa cosa del Dna è andata molto per le lunghe, è andata molto per le lunghe negli anni, meno male che finalmente l’abbiamo risolta", le sue parole.
Se quel profilo parziale degradato potesse essere riconducibile a te, come lo spieghi? Avete fatto altre prove con i tuoi consulenti? "In questi giorni che siamo stati a Roma, noi abbiamo passato proprio le ore a riguardare tutte le immagini della scena del delitto subito dopo il delitto, quindi è stato un lavoro anche abbastanza pesante dover vedere le immagini, il sangue, tutto", ha risposto.
Cioè, hai visto per la prima volta le immagini anche del cadavere di Chiara? "Alcune. Alcune. Quindi non è stato un gran bel momento", ha replicato
L’eventuale oggetto comune, toccato sia da te che da Chiara Poggi, ad esempio quella PlayStation che sta sul tappeto? "Sì, ma può essere la PlayStation, ma possono essere anche eventuali oggetti di uso comune. Vieni a casa mia, ti siedi sul divano, tu hai toccato i cuscini e il bracciolo. Può essere il telecomando, ma può essere qualunque altra cosa: può essere il corrimano della scala, può essere che sei andato in bagno e hai toccato la maniglia della porta, può essere che hai toccato la porta spingendola. Qualunque cosa. L’unica cosa certa, che ho capito io della parte genetica, è che normalmente, quando una traccia resta in seguito ad un’aggressione, è una traccia più netta, più precisa. Quindi, già a me non convince. Mi dava proprio più l'idea di… magari sarà un qualcosa di involontario, un qualcosa di contaminato", ha risposto Sempio.
Stasi silenzioso ma mattatore all'udienza del 18 dicembre
L'ultima tappa giudiziaria del caso è del 18 dicembre scorso quando Alberto Stasisi è presentato a sorpresa in Tribunale a Pavia per partecipare all'ultima udienza dell'incidente probatorio.
Quella mattina Stasi ha rubato la scena a tutti nel giorno dedicato all’epilogo dell’incidente probatorio lasciando sullo sfondo, come un rumore lontano, le diatribe sul dna, la spazzatura e tutta la vasta gamma dei test scientifici che hanno costellato l’ultima parte dell’inchiesta più discussa dell’anno.
“Manco una star del rock” ha detto per l'occasione un avventore al tavolo del bar vicino al tribunale
Stasi ai giornalisti: "Lasciatemi in pace"
Una massa famelica di obiettivi e telefonini si era precipitata giovedì scorso attorno all’ex studente della Bocconi, poi laureato in legge nel carcere di Bollate. A ‘difenderlo’ c'erano i suoi legali, Antonio De Rensis e Giada Bocellari, che hanno precisano subito che lui non può parlare ma ha voluto esserci, presenza silenziosa ma catalizzatrice di ogni sguardo, perché "è un giorno per lui importante, atteso da 11 anni, da quando si parla di questo dna”.
Da primo sospettato a condannato ingiustamente?
Qualcosa Stasi ha detto con tono pacato, per farsi largo tra la folla: “Per favore lasciatemi andare, abbiate pazienza”. Viene in mente a chi c’era quel 23 agosto 2007 quando sussurrò le parole “Non mi schiacciate” al drappello dei giornalisti, all’epoca ancora coi taccuini e le penne, all’uscita di un interrogatorio di nove ore davanti alla pm Rosa Muscio.
Ma se all’epoca era il sospettato numero uno di avere ucciso la sua fidanzata, oggi l’aura che sembra emanare è quella dell’innocente condannato a una pena ingiusta.

