I ricordi hanno sapori lontani. Sono selettivi, però. Quelli più amari tendono a scomparire, forse per spirito di auto difesa; quelli più dolci, invece, restano. Ed è per questo che a voltarsi indietro sono tutti luminosi.
I ricordi della mia infanzia sono in larga misura legati alla cucina. Ricordo mia nonna materna, pugliese, china sulla tavola a preparare i panzerotti. I miei preferiti erano quelli con il prosciutto cotto, tanto grandi da faticare a tenerli in mano. L'altra nonna, trentina, mi torna in mente, invece, mentre impasta gli "gnocchi verdi" (li chiamavamo così) o i canederli. Questi ultimi venivano preparati per Natale. "Con gli avanzi dell'anno", diceva lei. Per questo ogni volta avevano un sapore diverso. E a noi andava benissimo così. Anche moltissimi ricordi della mia mamma sono ai fornelli, o comunque in cucina. Ancora oggi, a distanza di anni, hanno il sapore di quello che cucinava. Scherzando, ma non troppo, diceva che la sua cucina era "aperta tutta la notte". Intendeva che non chiudeva mai. E anche oggi che di anni ne ha più di settanta è così.
Da sempre credo che quei piccoli gesti dietro ai fornelli siano cura silenziosa di qualcosa di più grande, ovvero della famiglia. Un qualcosa che non avrebbe bisogno di essere spiegata. Poi, però, ecco spuntare sui social Valeria Fonte, femminista dura e pura, che per sparare contro la Meloni critica la battaglia per far riconoscere la cucina italiana patrimonio dell'Unesco. "Il cibo italiano è uno strumento patriarcale, nazionalista e colonialista", scrive. Perché, "a causa di narrazioni romanticizzate", madri e nonne "continuano a essere identificate con il loro lavoro di cura gratuito, secondo cui il bene che provano per la loro famiglia è direttamente proporzionale a quanto cibo preparano".
I ricordi, è vero, sono puro romanticismo. I fatti, invece, sono freddi. E i fatti raccontano quanto sia cambiata la società da quando con il Sessantotto è iniziata la demolizione della famiglia. Un passo alla volta perdere il "focolare domestico", come lo chiama lei, ha minato le fondamenta di quel nucleo che è cellula primordiale dello stare insieme. Niente romanticismi, dunque. Stare insieme è fatica. Come lo è cucinare. Dipende tutto dal perché lo fai. Io, per esempio, ogni colazione, ogni singolo pasto cucinato, lo dedico alle mie figlie. E non lo faccio certo per farmi promotore di una cultura nazionalista. Lo faccio, appunto, per qualcosa che è molto più grande di un'idea. Anche se spesso è faticoso. Anche se, quando si alzano dalla tavola, nessuno lascia mai un euro di mancia.

